di Immacolata Minutillo, Jessica Paola Murcia Herrera
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La Responsabilità Sociale Condivisa (Shared Social Responsability, SSR) è intesa come “la responsabilità delle istituzioni pubbliche, dei privati o delle persone fisiche sulle conseguenze delle loro azioni o omissioni nel contesto degli impegni reciproci assunti; è l’accordo sui reciproci diritti e obblighi assunti nei settori del benessere sociale e la tutela della dignità umana, della lotta contro le disparità sociali e le discriminazioni, della ricerca di giustizia, coesione sociale e sostenibilità, mostrando rispetto per la diversità, nel riguardo delle norme e degli obblighi giuridici e sociali applicabili” (traduzione della Carta sulle responsabilità sociali condivise, Consiglio d’Europa, 22 Gennaio 2014).
Questa definizione mette in luce, in primo luogo, che il termine responsabilità è definito accountability di istituzioni pubbliche o private o di individui per le conseguenze delle loro azioni o omissioni in tutti i campi (pubblici o privati) ed evidenzia l’importanza della reciprocità tra gli stakeholder, cioè il rispetto dei reciproci impegni assunti nei vari settori (welfare, coesione sociale, sostenibilità, etc).
Inoltre, tale documento esplicita che nessun individuo dovrebbe essere escluso da decisioni che hanno conseguenze sulla sua esistenza e sul posto in cui si vive; ogni individuo deve avere la possibilità, in una società democratica, di intraprendere azioni legali per la tutela dei propri interessi. Quindi gli Stati sono spinti a promuovere la SSR, cioè sono invitati a eliminare gli eventuali ostacoli giuridici, operativi o materiali all’esercizio di tali funzioni civiche.
Le imprese sono incoraggiate a modificare i propri sistemi di governance per adattarsi ai principi e alle priorità della SSR e le organizzazioni non governative sono anch’esse invitate ad adeguare la loro struttura e la gestione ai principi della SSR.
Per quanto riguarda le imprese, sono molte le aziende e le amministrazioni pubbliche che hanno avviato programmi di cosiddetta responsabilità sociale, di cui è ancora difficile individuare una definizione unica e ampiamente condivisa.
La definizione di responsabilità sociale più diffusa è stata pubblicata dall’Unione Europea che la definisce come “Integrazione volontaria delle preoccupazioni sociali ed ecologiche delle imprese nelle loro operazioni commerciali e nei loro rapporti con le parti interessate” (Libro Verde della Commissione delle Comunità Europee, 2001). Tale definizione evidenzia alcune caratteristiche particolari della RSI (responsabilità sociale d’impresa) che si contraddistingue in primo luogo per la volontarietà dell’azione: la responsabilità sociale è una pratica che le imprese pongono in essere su base volontaria e rispetto alla quale non sussistono obblighi giuridici; ciò non significa ammettere l’arbitrio o rimandare ogni decisione e valutazione alla soggettività dei singoli, ma piuttosto rifiutare l’idea che esista una certificazione standard e accogliere strumenti d’azione e di autoregolamentazione di natura volontaria e non vincolante. Inoltre, la responsabilità sociale deve costituire per l’impresa un tutt’uno con la strategia aziendale e non essere considerata soltanto come un’operazione di marketing incentrata sull’immagine che l’impresa dà all’esterno, proprio perché le pratiche socialmente responsabili non costituiscono unicamente un costo aggiuntivo piuttosto diventano creazione di valore per le organizzazioni che le mettono in atto.
Nelle strategie dello sviluppo sostenibile l’Unione europea include le pratiche socialmente responsabili tra gli strumenti strategici necessari per perseguire e mettere in pratica gli obiettivi prefissati dalle politiche europee. Il tema della responsabilità sociale delle imprese non è stato materia di interesse comunitario fino a tempi recenti, le discussioni ufficiali sul tema sono iniziate solo nel 2001.
Già nel Trattato di Roma del 1957 si possono individuare le basi da cui deriva l’azione europea in materia di responsabilità sociale delle imprese.
I principi da cui è poi scaturita l’azione comunitaria (articoli 2 e 3 TCE):
• sostenere uno sviluppo equilibrato e armonioso; elevare il livello di occupazione e di protezione sociale;
• migliorare la qualità della vita;
• rafforzare la coesione sociale ed economica;
• conseguire un elevato livello di tutela della salute;
• rafforzare la protezione dei consumatori.
Tali principi sono stati elaborati nel corso degli anni. In particolare il Libro Bianco del 1993 di Jacques Delors (Presidente della Commissione Europea 1985-1995) “Crescita, competitività ed occupazione – Le sfide e le vie da percorrere per entrare nel XXI secolo” presentava un’economia che individuava il suo punto di forza per il potenziamento dell’occupazione nella crescita del capitale umano e nella valorizzazione del senso di responsabilità individuale e di responsabilità collettiva: “la responsabilità sociale è interesse dei datori di lavoro, dei lavoratori e dello Stato”.
Dagli anni novanta al 2000 la RSI viene presa in considerazione marginalmente e tramite dichiarazioni d’intento, invece, nel 2001, con il sesto programma quadro in tema di politica ambientale, e in particolare il documento “Ambiente 2010: il nostro futuro, la nostra scelta”, viene affrontata per la prima volta e in modo più specifico la rilevanza della RSI nelle politiche pubbliche. È però con il Libro Verde del Luglio 2001 “Promuovere un quadro europeo per la responsabilità sociale delle imprese” che la Commissione europea apre il dibattito sulla responsabilità sociale delle imprese e fornisce agli stakeholder il documento che è diventato il punto di riferimento europeo sulla RSI.
Tale documento individua il campo d’azione della RSI, che è duplice: interno ed esterno. Internamente le imprese devono dimostrare ai consumatori che fabbricano dei prodotti sicuri e che tali prodotti sono stati creati secondo dei principi socialmente responsabili. Inoltre le pratiche socialmente responsabili vengono realizzate nella gestione delle risorse umane e della loro salute e sicurezza, così come nell’adattamento alle trasformazioni aziendali e nella gestione degli effetti sull’ambiente. Esternamente l’azienda deve adottare pratiche socialmente responsabili nei confronti delle comunità locali che la accolgono e nei confronti dei partner commerciali.
Il Libro Verde pone le basi della strategia della RSI, fondata su alcuni punti fondamentali:
– un comportamento socialmente responsabile, perché al di là delle prescrizioni legali le imprese assumano volontariamente tale impegno in quanto ritenuto di interesse sul lungo periodo;
– garanzia di uno sviluppo sostenibile, ossia nelle proprie attività le imprese devono tener conto anche delle ripercussioni economiche, sociali ed ambientali;
La sostenibilità ambientale è alla base del conseguimento della sostenibilità economica: la seconda non può essere raggiunta a costo della prima (Khan, 1995). Quindi, fondamentale per lo sviluppo sostenibile è il riconoscimento dell’interdipendenza tra economia ed ambiente.
Si tratta di un’interazione a due vie: il modo in cui è gestita l’economia impatta sull’ambiente e la qualità ambientale impatta sui risultati economici.
Questa prospettiva evidenzia che danneggiare l’ambiente equivale a danneggiare l’economia. La protezione ambientale è, perciò, una necessità piuttosto che un lusso (J. Karas ed altri, 1995).
Il conseguimento della sostenibilità ambientale ed economica deve procedere di pari passo con quella sociale e l’una non può essere raggiunta a spese delle altre (Khan 1995).
La sostenibilità sociale, come sostiene Khan, include l’equità, l’empowerment, l’accessibilità, la partecipazione, l’identità culturale e la stabilità istituzionale. Si tratta di variabili distintive dei metodi sociologici. Esse pongono l’attenzione su una distribuzione socialmente equa di costi e benefici derivati dal modo in cui l’uomo gestisce l’ambiente.
Per perseguire la sostenibilità economica:
• i costi devono essere internalizzati per dare un nuovo indirizzo qualitativo e quantitativo agli obiettivi e all’andamento delle attività economiche, al conseguimento del profitto aziendale e all’innovazione
• i governi, avvalendosi dell’evoluzione del pensiero economico, devono fornire orientamenti e quadri di riferimento basati su finalità ed obiettivi generali in grado di prevenire il degrado ambientale
• tassazione e sussidi devono essere utilizzati per favorire l’assunzione di responsabilità e di impegno ambientale da parte dei cittadini, siano essi fornitori, produttori o consumatori (Luca Fiorito).
Ne consegue che le prestazioni di un’ impresa vanno valutate guardando simultaneamente tre approcci: economico, ambientale e sociale. L’impresa si avvicina ad una gamma di valori che indirizzano le proprie scelte e attività, e la responsabilità sociale si intreccia al tema della sostenibilità, nella ricerca di un equilibrio virtuoso fra coesione sociale, sviluppo economico e salvaguardia ambientale. Quindi la RSI può rappresentare un modo per mettere in pratica a livello microeconomico il concetto macroeconomico di sviluppo sostenibile.
Siamo davanti ad un nuovo modello di sviluppo, in cui il successo dell’impresa deriva anche dal suo impegno a garantire adeguati livelli di sostenibilità sociale e ambientale nel contesto territoriale di riferimento. Produrre più responsabilmente, con meno impatto ambientale e con maggiore sicurezza è il primo modo per produrre in maniera più efficiente.
Un esempio di produzione responsabile ed efficiente è dato dall’azienda agroalimentare zootecnica Torre Lupara che è frutto dell’evoluzione di una tradizione familiare, in origine fu tra i primi caseifici al mondo a trasformare il latte di bufala in mozzarella, ricotta, provola e burro. Il collegamento tra impresa agroalimentare e territorio è il supporto fisico della produzione, il territorio e i suoi elementi fisici e chimici sono fondamentali per ottenere un prodotto di qualità, cioè sono le caratteristiche che contribuiscono a qualificare un prodotto, ossia a renderlo unico.
Il territorio tramanda la storia di generazione in generazione, mantenendo la tradizione e l’identità.
Anche i consumatori hanno un ruolo rilevante nella definizione di responsabilità sociale condivisa. Per le imprese è di fondamentale importanza contare sulla fiducia del consumatore, quindi dimostrare di essere meritevole di tale fiducia.
Diventa quindi un dovere di ognuno di noi adottare un comportamento socialmente responsabile per raggiungere il benessere. Adottare un comportamento socialmente responsabile vuol dire che sia le imprese che le altre parti interessate debbano acquisire la consapevolezza che il prodotto non soltanto viene apprezzato per la sua qualità (il modo in cui esso viene presentato, le specificità della sua funzione), ma anche per le sue peculiarità che non sono direttamente visibili e tangibili, come la storia della sua produzione. Ci avvicineremmo così, sempre più ad un modello di sviluppo sostenibile, che aumenti il benessere e riduca i rischi dell’ambiente, migliorando la qualità della vita di ogni uomo. In questo modo si potrà ottenere l’equità tra la visione antropocentrica (diritti fondamentali della persona) e la visione ecocentrica (diritto all’ambiente). Pertanto, per costruire un nuovo rapporto uomo – ambiente è necessario porre le basi per una nuova cultura caratterizzata dal cambiamento della mentalità, del comportamento e delle attitudini degli uomini, cioè pervenire alla creazione di nuovi valori. Ciò, indubbiamente, può accadere soltanto se ognuno di noi risponde alle aspettative economiche nel rispetto di quelle sociali e ambientali prendendo coscienza di essere ciò che mangia e che quindi la tutela, la conservazione e il rispetto dell’ambiente diventano sinonimi di rispetto per se stessi e per le generazioni future.