Fonte: Versione italiana del testo presente nel n° 1/2017 della Rivista di studi sulla Sostenibilità.
di Prof. Gian Paolo Cesaretti – Presidente della Fondazione Simone Cesaretti
Oggi, per l’intera Umanità la vera grande sfida è quella del “Sustainability empowerment”, ovvero, “la capacità di rendere il diritto alla Sostenibilità principio costitutivo di un nuovo progetto di società (globale), dove il benessere e la sua sostenibilità ne costituiscono l’obiettivo strategico fondamentale”.
Il processo di globalizzazione dei mercati, non accompagnato da una globalizzazione dei diritti e delle regole, ha spinto tutti i paesi verso una crescente omologazione dei modelli di consumo; del costo del lavoro; dei livelli di internalizzazione dei costi ambientali; dei livelli di tassazione dei capitali e delle politiche monetarie.
Con il risultato che, nelle strategie di posizionamento competitivo dei rispettivi sistemi economici, hanno prevalso sempre di più politiche di prezzo anziché un Approccio di Sistema alla Qualità: cioè, la capacità di tutti gli stakeholder di saper contribuire congiuntamente ad una governance delle tre fondamentali funzioni dell’Economia (allocazione, accumulazione, distribuzione). Governance che sia efficiente, efficace, etica, equa. E, quindi, in grado di perseguire un Progetto di Sostenibilità del Benessereindividuale e collettivo, attraverso l’internalizzazione dei costi della scarsità dei quattro stock di capitale naturale, umano, sociale ed economico: sia dal punto di vista quantitativo che qualitativo.
Invece, la ricerca della soddisfazione dei bisogni umani volta alla creazione del benessere in termini di material living conditions and quality of life, per troppo tempo è stata condotta “esternalizzando i costi della scarsità” degli stock di capitali. E ciò, ha generato numerosi effetti negativi: “competizione in “dumping” rispetto al capitale finanziario; creazione di debito pubblico; scarso risparmio privato; sfruttamento del capitale naturale, al di là delle sue capacità di svolgimento delle sue tre fondamentali funzioni; disgregazione del capitale sociale; scarso investimento nel capitale umano; insufficienti investimenti in ricerca e innovazione.
Tutto ciò è avvenuto a spese delle generazioni future e provocando diseguaglianze tra quelle attuali e forti squilibri nei trend di sviluppo tra Paesi e tra sistemi locali, generando inoltre una “cultura dello scarto”: una marginalizzazione dei giovani, dell’ambiente, dei territori, delle “minoranze” in senso lato o, meglio di chi non ha voce e, quindi anche delle generazioni future.
In sintesi, la non “internalizzazione dei costi della scarsità”, in termini di stock di capitale (economico, sociale, ambientale e umano), ha determinato una governance non corretta del modo in cui l’economia globale ha assolto alle sue tre fondamentali funzioni: accumulazione delle risorse; loro allocazione, distribuzione della ricchezza prodotta. Da qui, l’insorgere di molteplici “questioni”: povertà, diseguaglianze, danni ambientali, etc. da qui, cioè, l’insostenibilità dell’attuale modello di sviluppo.
Diviene allora necessario “internalizzare i costi della scarsità”, nell’attuale modello di sviluppo della società globale:
– Minimizzando l’uso degli stock di capitale nella loro allocazione;
– Sostenendo i processi di accumulazione degli stock di capitale puntando sulla rinnovabilità delle risorse naturali, sulla qualità del capitale umano, sul riequilibrio tra capitale speculativo e produttivo, sulla non disgregazione del sociale;
– Modificando i modelli di distribuzione della ricchezza prodotta non “marginalizzando” così persone, paesi e sistemi locali.
In sintesi, efficienza ed efficacia nella allocazione delle risorse, etica nella accumulazione degli stock di capitale, equità nella distribuzione della ricchezza. Ne discenderebbe una diversa qualità della crescita macroeconomica globale; una diversa qualità del Pianeta; una maggiore aderenza dei beni e dei servizi prodotti dall’Economia globale alle istanze dei consumatori; un abbandono della cultura dello scarto.
Nel settembre 2015 le Nazioni Unite hanno approvato l’Agenda Globale per lo Sviluppo Sostenibile e i suoi obiettivi (obiettivi di sviluppo sostenibile) da essere conseguiti entro il 2030. Più di 170 Paesi nel mondo, approvando l’Agenda, hanno riconosciuto che l’attuale modello di sviluppo è insostenibile ed è quindi necessario adottare un approccio integrato allo scopo di raggiungere tutti i 17 obiettivi.
Il 13 marzo 2017 è stata presentata la “strategia nazionale per lo sviluppo sostenibile” nel rispetto dell’impegno sottoscritto a Parigi dall’Italia, insieme agli altri paesi, in attuazione dell’Agenda 2030.
All’interno del nuovo contesto disegnato da questa strategia nazionale, i singoli sistemi locali, al di là di mettere in campo strategie di sviluppo territoriale, capaci di internalizzare i costi della scarsità, dovranno ricercare un loro posizionamento competitivo dentro l’attuale processo di globalizzazione. Dovranno, cioè, complessivamente, saper definire un nuovo e vincente “Paradigma di Sostenibilità Territoriale”.
A ciascuno stakeholder territoriale si imporrà la capacità di offrire il proprio contributo sia all’approccio di Sistema alla Qualità, così come più sopra definito, sia ad una strategia di posizionamento competitivo, con esso compatibile.
Una strategia di non omologazione, costituisce allora l’altro pilastro di un “Paradigma di Sostenibilità Territoriale”. Ogni territorio, infatti, presenta all’interno dei propri asset strategici degli elementi di non omologazione rispetto ai quali impostare delle azioni di tutela, supporto, valorizzazione e promozione, capaci di determinare un effetto moltiplicatore rispetto a tutto il Sistema Territorio.
Alle imprese, ai consumatori, al sistema della conoscenza e dei media, alle ONG operanti a tutela di vantaggi esclusivi possibili, quali capitale naturale, umano e sociale, ai policy maker locali, il compito di individuare behavioral models in linea sia con l’approccio di sistema alla qualità che con la valorizzazione degli elementi di non omologazione territoriale.
Come Presidente della Fondazione Simone Cesaretti, auspico che questi siano i campi della ricerca rispetto ai quali si concentreranno le migliori energie.
È questa la Ricerca che la Fondazione Simone Cesaretti intende sostenere.