Lavoro e quinta condizione di sostenibilità
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Un’analisi accurata sulla quantità e la qualità del lavoro nel nostro Paese non può prescindere dalla riflessione su una delle cinque condizioni che noi abbiamo definito “di sostenibilità”, ovvero dal concetto di Youth’s Society. Per essere più chiari cominceremo col dire un’ovvietà: ovvero che il lavoro attraversa le generazioni, essendo parte integrante della vita di una società, quindi la capacità che una società ha di occupare quante più persone possibile concorre fortemente al benessere della stessa. Di fatto uno stato “in salute” produrrà lavoro accanto ad un piccolo funzionale tasso di disoccupazione, diversamente il livello di benessere generale è destinato a calare vertiginosamente. Ma non è tutto, perché sulla scena mondiale ad influenzare fortemente il livello di occupazione di uno Stato moderno sono elementi che rientrano in una valutazione più “qualitativa” oltre che funzionale del lavoro. A tal proposito la vera sfida delle società moderne è senz’altro orientata verso il soddisfacimento del suddetto principio di “equità generazionale”: ovvero una Youth’s Society capace di creare e poi garantire una progettualità per i giovani, facendo di questa componente il filo rosso verso un orizzonte sostenibile. E’ abbastanza implicita la considerazione per la quale una società che non mette al centro delle sue strategie di sviluppo i giovani sostanzialmente non cresce. Una società incapace di occupare i giovani non è sostenibile.
Se accettiamo la sostenibilità come una condizione spazio temporale che dovrebbe garantire un certo livello di benessere per tutta la durata di una vita, allora è facile intuire che non esiste alcun benessere destinato a durare, sostenibile. Esiste invece “il congiunturale”, il momentaneo, ovvero quella circostanza immediata che porta la società ad offrire scorciatoie, contentini, perché incapace di gestirsi diversamente, e gli individui a prendere quello che possono, sostanzialmente ad accontentarsi. Nel mondo giovanile poi, i risultati di tali pseudo strategie di sviluppo sono devastanti. Ora mentre i meritevoli migrano come le rondini a primavera, andando ad arricchire quel Paese che saprà apprezzarli, in quelli che restano scattano reazione variegate. C’è chi accetta passivamente questa logica dell’accontentarsi, c’è chi si adopera per cambiare le cose, e chi si aliena uscendo da un logica comportamentale “sana”.
Non stiamo parlando solo di una certo numero di soggetti devianti, parliamo di chi si deprime, di chi si convince di non essere in grado di affrontare il mondo. Questo è lo scotto che paga una società confinata ad un livello di occupazione che esclude i giovani. L’ Italia, notoriamente definita un Paese “vecchio” rientra a pieno in questa dinamica del lavoro. I nostri ragazzi stanno fermi ai box senza partire mai, di fatto perché non c’è una meta e poi non tutti sono così bravi al volante. Ognuno di noi andrebbe instradato, stimolato ad affrontare il suo percorso, sapendo di avere gli strumenti per farlo. Una società che non radica nell’equità generazionale le fondamenta della sua struttura, di fatto non sta in piedi, è instabile, squilibrata, incapace di garantire stabilità e sviluppo.