di Luciangela Lombardo
Il panorama delle imprese italiane è pronto per accogliere il ‘’nuovo’’ modello concettuale della responsabilità sociale dell’impresa inteso in senso culturale,nonché elemento caratterizzante in materia di Corporate Governance(1).
Ma qual è il grado di consapevolezza di tali imprese per ciò che riguarda le tematiche ambientali,sociali e di sostenibilità?
Nel’arco di alcuni decenni si è imposta l’idea della ‘’Sustainability revolution’’ (2),secondo cui la sopravvivenza e lo sviluppo futuro di micro e macrosistemi presuppone tre aspetti fondamentali: impatti ambientali,implicazioni sociali ed il conseguimento di risultati economici. Così facendo,è la sostenibilità a diventare un vero e proprio paradigma di business, il quale è legato alla capacità del sistema d’impresa di conquistare e conservare un’adeguata posizione competitiva,insieme alla capacità dell’azienda di creare ricchezza per se e la comunità circostante. Allora la Corporate Social Responsability (CSR) può essere vista come la condizione per il sostentamento e lo sviluppo del sistema impresa legata,senza ombra di dubbio,alle positive ricadute sociali che i comportamenti e le decisioni aziendali hanno sulle società. Essa implica la produzione di beni e servizi sul mercato,utili alla collettività perché soddisfano molti dei bisogni degli individui. L’attività produttiva,infatti,consente la creazione dei posti di lavoro e profitti.
La corporate social responsability implica il simultaneo impegno di quattro tipi di responsabilità: l’impegno sociale consente la piena integrazione tra impresa,stakeholder e ambiente di riferimento; la responsabilità ‘’etica’’ include tutte le attività o pratiche sociali attese dalla società e,infine, quella ‘’filantropica” che comprende iniziative,azioni e programmi discrezionali,vale a dire volontari che,sebbene non previsti dall’azienda,sono altamente apprezzati dalla pubblica opinione, in quanto aumentano il benessere sociale.
Una volta chiarito il significato di Corporate Social Responsability,è interessante ora chiedersi quale sia la finalità della comunicazione nell’impresa sostenibile, poiché di recente emerge la tendenza di considerare la ‘’corporate reputation’’(3 )il principale scopo della comunicazione d’impresa. La presa di distanza dal concetto ‘’immagine’’ si giustifica dal fatto che l’espressione ‘’creare immagine’’,per l’appunto, può essere intesa in senso riduttivo: questa,infatti,può limitarsi ad azioni di marketing e comunicazioni di più facciate destinati a effetti di brevissimo termine. Così, il concetto di reputazione appare meno effimero e più sostanziale, dal momento che comporta giudizi degli stakeholder basati sulla percezione e valutazione, in un non breve arco di tempo, della condotta dell’organizzazione e dei suoi membri. Tale reputazione si sedimenta lentamente nel corso degli anni,man mano che si consolida la fiducia degli stakeholder. In effetti la reputazione aziendale è una risorsa che riflette la storia delle azioni di un’organizzazione. Dunque la consolidazione formulata a proposito della finalità della comunicazione nelle organizzazioni volgono a maggior ragione per l’impresa sostenibile. Quest’ultima può instaurare relazioni positive con i pubblici,sviluppare capitale finanziario e arricchire la costruzione dello sviluppo reputazionale.
Dunque la ‘’sustainable corporation’’ deve mirare alla ‘’consonanza sistemica’’ (Golinelli,2000),dove l’ascolto, il dialogo e il rispetto nelle relazioni rappresentano i presupposti per l’allineamento e la corrispondenza ai valori,culture e bisogni degli stakeholder.
‘’Corporate Governance’’ (1): funzionamento di organi di Governo centrale. Modello che ha come finalità gli interessi del soggetto proprietario e l’identificazione di una serie di meccanismi per massimizzare il valore azionario e investirlo.
‘’Sustainability revolution’’ (2) : nuova frontiera d’apprendimento e strategia aziendale. L’imprenditore deve approcciare con il fattore ambiente per consentire uno sviluppo delle politiche green insieme al proprio coordinamento.
‘’Corporate reputation’’(3):è necessario ricercare un equilibrio assumendo il risultato della strategia di una responsabilità condivisa. Un’azienda deve essere, in primis, credibile solo attraverso il rispetto dei cinque paradigmi.
In un mercato globale,allora, in continua espansione,la sostenibilità è sempre più riconosciuta come fattore di successo delle imprese,che dimostrano di aver maturato una certa consapevolezza verso le pratiche green,attribuendo loro un valore diverso rispetto a quello del passato. Tali adozioni strategiche contraddistinguono le aziende con una posizione di leadership competitiva, afferenti a gruppi e strutturate dal punto di vista della gestione e innovazione e della strategia della marca. Questa non è altro che una grande opportunità per le nostre aziende perché, nei mercati internazionali, esiste una forte richiesta di certificazione di qualità ambientale,soprattutto per i prodotti di alto livello.
L’obiettivo comune,a questo punto, deve essere quello di fare del Made in Italy un modello eco-sostenibile. Garantire un’etica nella produzione nei propri affari, valorizzare le filiere a monte dei prodotti,mettere su mercato prodotti sicuri,genuini,certificati e sostenibili in termini ambientali con un forte contenuto di servizio,sempre pensando alle generazioni future: deve essere questo l’intento italiano in un approccio globale; è necessario creare consapevolezza nel consumatore e aiutarlo a compiere scelte sempre più responsabili. Il vantaggio competitivo aziendale,dunque, è proprio quello di rispettare e accrescere il benessere secondo varie condizioni: attraverso diritti e regole universali, presupponendo una salvaguardia di quella che è una politica all’insegna della correttezza,evitando il cosiddetto ‘’dumping ambientale’’(4);la replicabilità degli stock di capitali, che racchiude quello naturale, umano, sociale ed economico, in cui l’impresa deve costantemente produrre per farne una strategia di corporate identity(5); un equilibrio tra la visione antropocentrica ed eco-centrica,atta a far rispettare all’uomo l’ambiente, fonte di tutte le risorse ed investimenti maggiori; l’interconnessione tra drivers di sviluppo della società e il rispetto dell’equità generazionale,in cui è necessario riportare i valori autentici al centro della società. Ed è proprio il rispetto di tali paradigmi sostenibili il lasciapassare a nuove forme di approcci,da parte degli stakeholders,per sostenere la responsabilità: soluzioni tecnico-scientifiche,infatti,predispongono il capitale umano alla ricerca dell’innovazione,le normative consentono di poter dare corpo ed atto a tali processi ed,infine, una nuova cultura sostenibile che permette,qualora vi sia una visione olistica dell’insieme,di trovare le ‘’eccellenze’’ in vari ambiti, di innovare e ‘’trascinare’’ il sistema.
Su questa scia si sviluppa,così,il’’newconcept’’ d’impresa,nella fattispecie dell’eco sostenibilità in campo alimentare del Made in Italy. Un esempio lampante è,sicuramente,l’impresa multinazionale ‘’Eataly’’ la quale si inscrive in questo movimento di rinnovamento dell’apparato concettuale delle scienze sociali. Essa non si limita a una riflessione astratta su questi problemi, ma intende invece osservare dal vivo un’esperienza nella quale le frontiere tra modernità e tradizione, sviluppo sostenibile e decrescita sono superate nella pratica. Il caso di Eataly ci consente di indagare precisamente questo superamento. Promettendo di utilizzare la logistica della distribuzione per distribuire piccole produzioni tradizionali, il progetto Eataly rappresenta un esperimento su grande scala (il più importante tentato fino ad oggi in Italia).
‘’Dumping ambientale’’(4): sfruttamento non consono dell’ambiente da parte dell’uomo per finalità prettamente economiche (disboscamento, deforestazione, smog fotochimico ecc.).
‘’Corporate identity’’ (5): strategia che, una volta inglobata e incamerata nell’impresa stessa, diventa colonna portante del suo sostentamento.
L’apertura del supermercato di Torino segna il punto di partenza dell’avventura imprenditoriale di Eataly, ma rappresenta anche il punto di arrivo di un lungo lavoro di preparazione cominciato oltre quattro anni prima. Inventare e mettere in opera un modello inedito nel panorama della grande distribuzione organizzata ha richiesto il contributo di molte persone, imprese, associazioni, istituzioni. Nondimeno, Eataly rimane in gran parte il frutto delle idee e del lavoro di un uomo solo: Oscar Farinetti(6).
Per descrivere la filosofia della sua impresa, l’ideatore disegna un quadrato diviso in quattro quadranti. Ognuno dei quadranti rappresenta uno stile di consumo definito da una combinazione di quantità (grande/piccola) e qualità (alta/bassa). Il posizionamento della GDO moderna in questo schema è molto chiaro: i supermercati si rivolgono (e contribuiscono a creare) a un consumatore interessato a consumare tanto (tanto di tanti prodotti diversi) e disposto ad accontentarsi di una qualità relativamente bassa. Eataly intende posizionarsi nel quadrato opposto quello definito da quantità limitate e qualità elevata. Contrariamente a quanto spesso affermato, l’originalità nel posizionamento di Eataly non risiede nella scelta di concentrarsi su prodotti di qualità elevata,infatti tale scelta allontana certamente Eataly dal mainstream della grande distribuzione moderna. Molto più originale nel meccanismo di Eataly è la decisione di orientarsi verso ridotte quantità di consumo. In uno slancio assolutamente inedito nella distribuzione moderna, Eataly consiglia al suo pubblico di ridurre i suoi livelli di consumo.
Dal punto di vista dell’immagine e della comunicazione è invece un’altra strategia che viene messa in primo piano: quella della preferenza accordata da Eataly ai prodotti locali e di stagione.
Se Eataly ha scelto dunque la strategia della località e della stagionalità non è dunque per abbassare i prezzi che offre alla sua clientela. Al contrario, località e stagionalità implicano un costo che si riflette nei prezzi al consumo e, nondimeno, Eataly ha scelto di rimanere saldamente ancorata a questi valori per una ragione molto importante. La scelta della località e della stagionalità rappresenta un messaggio molto forte sul piano dell’immagine. A differenza della qualità organolettica (che è un valore difficile da valutare per un consumatore non esperto), si tratta di valori immediatamente comprensibili. Il segnale di discontinuità rispetto al resto della grande distribuzione è molto netto e facile da percepire.
Oscar Farinetti(6):fondatore di Eataly. La sua vita è raccontata nei dettagli in un libro dai toni quasi agiografici pubblicato da Anna Sartorio (1998). La carriera di imprenditore di Oscar Farinetti comincia relativamente presto. Dalle risorse ricavate dalla cessione di UniEuro e dall’esperienza ricavata dalla sua gestione, nasce il progetto imprenditoriale di Eataly. L’idea di un supermercato dedicato all’eccellenza eno-gastromica italiana, sul modello dei reparti alimentari dei grandi department store europei, ma destinato a un pubblico meno elitario eramaturata nelle intenzioni di Oscar Farinetti già nell’inverno del 2002.
Località e stagionalità sono criteri importanti rispetto ai valori del buono, pulito e giusto e, più in generale, rispetto ai valori di sicurezza ed ecologia ambientale. La scommessa di Eataly è che i consumatori siano disposti a riconoscere un valore aggiuntivo (e quindi a tollerare un prezzo più alto) agli alimenti freschi e prodotti localmente, perché riconoscono in essi una garanzia di acquistare prodotti sani e sostenibili.
Una volta delineata l’idea di base per l’apertura di questo complesso commerciale innovativo, Farinetti si è interrogato sul metodo di selezione di ciò che più è importante per realizzare il progetto da lui ideato: i prodotti e i relativi fornitori. Fin dall’inizio dichiaratamente legato alla filosofa di Slow Food, l’imprenditore ha deciso di affidare questo compito ad una giuria composta da dipendenti esperti di questa associazione, per compiere una selezione coerente con le idee trainanti del progetto. Eataly si è voluta distinguere, fin dalla sua progettazione, per la particolare attenzione nei confronti della qualità, nonché della tradizione e, laddove possibile, della territorialità.
A questo punto,però, una domanda può sorgere spontanea: tutta questa propaganda verso le eccellenza, la propensione del ‘’mangiar sano’’ e la ricerca del compromesso è davvero così sostenibile? Possiamo dire che Eataly offre un ‘’retroscena’’ così roseo quanto il suo successo? Oppure anche quest’ultima attua,alle volte, dumping ambientale in relazione al territorio in cui produce?
Sostanzialmente il Made in Italy che si propone,seguendo la strategia di marketing di Farinetti, ha come cartina di tornasole quelle che è una scelta basata sulla competitività del prodotto e quindi sull’omogeneità,sicurezza e salvaguardia del consumatore. Si potrebbe tralasciare,però,un aspetto importante,forse di minor impatto per il ‘’pubblico’’, il quale riceve sul mercato soltanto il prodotto finito: quello della tutela ambientale. Il Made in Italy,effettivamente, non dovrebbe essere soltanto volto alla ricerca della materia genuina,ma dovrebbe focalizzarsi anche su quella che è la cornice dalla quale l’eccellenza viene estrapolata. Si tenga conto,infatti, di una sorta di sistema circolare,in cui il Made in Italy è posto al centro e al cui fianco coesistono altre realtà. Dunque è necessario, in un’ottica olistica, stabilire se tale prodotto sia,in questo senso sostenibile rispetto alla competitività, dove si attua una strategia basata sul marchio italiano e non di mere imitazioni poste sul mercato globale in cui vige la regola del prezzo più accessibile,accantonando totalmente l’aspetto della qualità. L’Eco- sostenibilità è altra condizione essenziale: impresa che produce Made in Italy e pone sul mercato prodotti che sono stati frutto di sfruttamento ambientale, raccolti in terreni non consoni,trascurati sotto il punto di vista territoriale e mantenuti in situazioni ‘’nocive’’, solo per un minor tasso monetario di produzione, non sono assolutamente considerati sostenibili. Così l’aspetto in materia della salute sembra prendere piede in siffatto discorso in cui, inevitabilmente, si sfocia: l’attenzione al dettaglio, le sostanze ormonali ,e non, immesse, l’accuratezza del processo produttivo e,soprattutto, la consapevolezza di offrire al consumatore una sicurezza portano a garantire alla ‘’Italianità’’ una forte influenza sul mercato. E se si chiude,quindi,la circolarità pensando e predisponendo il terreno per le generazioni future,allora, il Made in Italy,quello vero, può pensarsi davvero all’avanguardia; avvicinare i giovani e sensibilizzarli per i tempi che verranno a non sprecare risorse non rinnovabili,a pensare in un’ottica di medio/lungo termine, di poter innovare soluzioni consone per il benessere ambientale: è questa la sfida più grande che i prodotti italiani devono porsi.
Prendendo un campione su scala, in tale analisi si è analizzato un settore in particolare,quello ortofrutticolo, che è certamente uno dei reparti più importanti del sistema attuale della grande distribuzione organizzata moderna. Non è sempre stato così, la frutta e la verdura fresche arrivano relativamente tardi nella griglia dei supermercati moderni a causa dei problemi logistici che esse comportano.
In primo luogo, vi sono le difficoltà d’approvvigionamento e conservazione di prodotti caratterizzati da un’elevata deperibilità sulla promessa della sovrabbondanza. I supermercati rappresentano la modernità e la società del consumo, proprio per la loro capacità di assicurare al consumatore un’offerta (apparentemente) illimitata. A differenza di quanto potrebbe succedere in una bottega o in un emporio, i supermercati attribuiscono un’enorme importanza al mantenere i loro scaffali costantemente pieni. La logistica della grande distribuzione moderna è caratterizzata dallo sforzo di rendere sempre più rapido il flusso delle merci e tuttavia la sua interfaccia verso il consumatore (lo scaffale) è caratterizzata da un’estetica della immutabilità. Non si tratta soltanto di evitare le rotture di stock, in modo da permettere ai clienti di trovare sempre quello che desiderano, ma anche di offrire l’impressione che per quanti acquisti essi facciano gli scaffali dei supermercati rimarranno sempre pieni.Ovviamente, onorare quest’estetica dell’abbondanza è molto più difficile nel caso dei prodotti freschi e in particolare della frutta e della verdura. I prodotti del reparto ortofrutta possono essere tenuti sullo scaffale solo per pochi giorni (poche ore in alcuni casi) e, quando non sono in esposizione, richiedono di essere conservati in magazzini refrigerati.Negli ultimi anni, le difficoltà di conservazione dei prodotti ortofrutticoli sono state in parte risolte attraverso il ricorso alla chimica e ai cosiddetti ‘trattamenti post- raccolta’. I trattamenti post-raccolta sono realizzati nebulizzando o immergendo la frutta e la verdura in soluzioni di reagenti chimici che impediscono o ritardano l’insorgenza di alterazioni parassitarie.
Rispetto alla grande distribuzione mainstream, il reparto ortofrutta di Eataly si distingue soprattutto per la scelta di limitare la propria griglia a prodotti locali e di stagione. La definizione che il progetto Eataly dà di prodotti locali è molto netta: nel supermercato di Roma sono vendute soltanto frutta e verdura italiane. Si tratta quindi di una soluzione intermedia rispetto a quella del ‘chilometro zero’ e tuttavia di un’innovazione radicale nel contesto della grande distribuzione organizzata.È interessante (e forse un po’ sorprendente) notare che la griglia di Eataly così attenta al principio della stagionalità e della vicinanza, è invece relativamente poco sensibile al discorso sulla produzione biologica. Pur privilegiando i prodotti coltivati con metodi di lotta integrata e produttori di dimensioni medio-piccole, il reparto ortofrutta di Eataly non fa di questa preferenza un punto forte della sua identità.
Un po’ più d’attenzione (ma non quanta si potrebbe pensare e soprattutto in confronto agli altri reparti) è invece rivolta alla promozione della agrobiodiversità. Molti dei prodotti presentati sugli scaffali appartengono a varietà tradizionali o eccellenti per le loro caratteristiche organolettiche. Talvolta sono presenti anche prodotti di Slow Food.
Un’altra differenza sostanziale del reparto ortofrutta di Eataly rispetto a quello di un supermercato tradizionale è la scelta di non permettere l’acquisto a libero servizio. Nel caso del reparto ortofrutta, Eataly Torino ha invece scelto di puntare su un acquisto assistito. Questa scelta comporta, ovviamente, costi superiori in termini di personale: il reparto ortofrutta del supermercato di Torino impiega una decina di persone, vale a dire circa il triplo di quelle impiegate in un supermercato medio. I costi sono tuttavia giustificati dal desiderio di distinguersi nettamente dal resto della GDO.