di Immacolata Viola, Nicola Marinelli
La crisi economica mondiale ha fatto registrare notevoli ripercussioni sul mercato del lavoro e solo in parte, purtroppo, le statistiche ufficiali riescono a rappresentarle. Le recenti rilevazioni indicano un peggioramento significativo della disoccupazione, un maggiore ricorso agli ammortizzatori sociali e alla trasformazione di contratti full time in part-time.
A livello mondiale secondo l’ILO, nel 2013, sono stati 75 milioni le persone senza lavoro (circa 4 milioni di disoccupati in più rispetto al 2007), fra loro molti non hanno mai lavorato e diversi altri milioni sono prigionieri di lavori poco produttivi o con bassa attenzione verso la tutela della salute e dei diritti sociali; e oltre 6 milioni coloro che hanno smesso di cercare un lavoro (i cosiddetti scoraggiati). Questa situazione senza precedenti può avere effetti di lungo periodo spaventosi per i lavoratori, soprattutto per quelli più svantaggiati, anche nella considerazione che la persistente disoccupazione e sottoccupazione porta con sé costi sociali ed economici molto alti, e costituisce una minaccia al tessuto sociale.
I sintomi della crisi economica si sono manifestati già nel 2008, quando la disoccupazione ha cominciato a crescere, in ambito europeo, in misura non trascurabile in Italia e, soprattutto, in Spagna. Tra il 2007 e il 2012 il numero di persone in cerca di lavoro nel nostro Paese è aumentato di oltre 1 milione e 200 mila unità, pari a poco meno del 15% dell’aumento osservato nei 28 Paesi dell’Unione (dati ISTAT, 2012). Rispetto alle classifiche europee, l’Italia occupa le ultime posizioni e gli addetti ai lavori prevedono per il prossimo futuro una crescita modesta: è parere diffuso che il possibile incremento della domanda di lavoro sarà soddisfatto soprattutto dall’aumento della produttività e del numero di ore di lavoro. All’interno del problema della disoccupazione assume una particolare criticità anche il difficile incontro fra domanda e offerta di lavoro high-skilled. Da un lato insistono le imprese che fanno domanda di lavoro altamente qualificato e idoneo ai mutamenti del mercato, alle nuove istanze della società rispetto alla tutela della salute (posti di lavoro salubri e non nocivi), al diritto ad un reddito dignitoso e dall’altro vi è la classe dei lavoratori che non sempre è adeguata, in termini di skills, evidenziando anche una carenza dell’offerta di formazione.
Molte sono state le iniziative e i programmi volti a combattere il fenomeno della disoccupazione, e a contribuire alla tutela della salute, dei diritti sociali, a migliorare ciò che definiamo qualità della vita. Tra i protagonisti di tali iniziative, poste in essere a livello mondiale, europeo e nazionale, vi è la green economy, ovvero più semplicemente l’orientamento green. Orientarsi al green vuol dire porre in essere dei comportamenti rispettosi dell’ambiente e delle sue tre funzioni (erogazione di risorse naturali, metabolizzazione degli inquinanti, tutela del paesaggio e della natura). Attraverso la traiettoria del greening è possibile contribuire alla crescita, definire un paradigma più equilibrato ed etico di benessere, mitigare gli squilibri socio-economici e demografici. La traiettoria del greening non deve limitarsi unicamente al mantenimento e alla tutela dello stock di capitale naturale, ma deve fare in modo che attraverso gli strumenti propri della politica ambientale si possa contribuire alla sostenibilità del benessere sia individuale, sia collettivo. L’orientamento green contribuisce all’aumento dell’occupazione, garantisce la tutela in termini di salute del lavoratore, la tutela della salute del consumatore finale, e attraverso una più attenta gestione dell’ambiente, tende a migliorare anche la qualità del territorio dove insiste l’impresa. Recenti studi hanno evidenziato che i settori orientati al green stanno ponendo le basi per numerosi posti di lavoro, i cosiddetti green jobs, occupabili da persone che mostrano una preparazione sempre più incentrata sulle questioni ambientali. Studi statistici dimostrano che lavorare in ambito green ha dato lavoro a quasi 4 milioni di persone in Europa, fenomeno che, seppur lentamente, sta investendo anche l’Italia con il delinearsi di alcune posizioni professionali. A questo punto risulta interessante analizzare in che misura un orientamento green di un settore, quale quello dell’industria alimentare, possa offrire un proprio contributo in termini occupazionali e quali siano le strategie a supporto per colmare il gap tra domanda e offerta di lavoro green.
Orientamento green dell’industria alimentare e occupazione
All’interno delle attività manifatturiere italiane l’industria alimentare rappresenta il quarto comparto per numero di imprese (circa 55mila, pari al 13% del totale manifatturiere), dopo la fabbricazione di prodotti in metallo, il tessile e il legno, e impiega 392mila addetti; la dimensione media delle imprese del settore, di poco superiore a 7 addetti, è inferiore ai 9,5 addetti medi delle imprese manifatturiere.
Nel settore dell’industria alimentare nel 2012 si è registrato un segno negativo per il 6,6% delle imprese. Una drastica riduzione dei livelli occupazionali dovuta, in particolare, alla mancata sostituzione del turn over fisiologico, che si traduce in circa 5mila posti di lavoro in meno negli ultimi due anni. Secondo l’analisi congiunturale Format Research-Federalimentare, condotta su un campione di 1.000 imprese nell’intero territorio nazionale, circa il 10% delle aziende ha dichiarato di aver dovuto ridurre l’organico. In compenso, circa il 4% delle imprese prevede nuove assunzioni nel biennio 2013 – 2014. Solo il 45% delle imprese alimentari, inoltre, ha dichiarato di voler effettuare investimenti nel prossimo biennio, con un calo di circa 13 punti percentuali rispetto al 2011-2012.
Una delle possibili strategie a disposizione del settore dell’industria alimentare, è l’orientamento green poiché capace di dare un contributo sia in termini occupazionali sia in termini di rivitalizzazione dell’economia. Per orientamento green si intende l’adozione di pratiche e comportamenti rispettosi dell’ambiente e delle sue tre funzioni (erogazione di risorse naturali, metabolizzazione degli inquinanti, tutela del paesaggio e della natura). Le tipologie di innovazioni che il settore dell’industria alimentare ha a disposizione per poter adottare un orientamento green, sono:
- Innovazioni di processo;
- Innovazioni di prodotto;
- Innovazioni di marketing.
Cosa porta l’industria alimentare verso l’adozione di un orientamento green? Le motivazioni possono esser tante. Pressione normativa, le istanze del mercato, soluzioni in termini di abbattimento dei costi, esigenze di competitività, sensibilità ai temi ambientali.
Ma l’adozione di un orientamento green nell’industria alimentare, può costituire anche un volano per combattere la sfida occupazionale. In che modo e quando ciò possa aver luogo, dipenderà da un lato dal riconoscimento normativo del fenomeno e dall’altra dalle condizioni economiche che ne scaturiranno.
Si intende per innovazione di processo e di prodotto, e quindi si parla di Green Supply Chain, quella particolare attenzione nel definire i metodi di trasformazione di input in output, tali da rendere minimi gli impatti sull’ambiente, spostando l’attenzione dall’azienda in se stessa verso l’intero sistema di relazioni e di attori (gli stakeholder). Ottimizzare le performance nella Supply Chain è una operazione fondamentale che può condurre a ripercussioni in termini economici (crescente attenzione dei criteri ambientali nella valutazione del rischio d’impresa da parte di investitori), ambientali (concepire il fattore green come fattore di distinzione commerciale) ed infine sociali (consumatori responsabili e coscienti dell’impatto dei prodotti sull’ambiente circostante).
Per quanto riguarda infine il green marketing, secondo Grant (2009), è un incontro fortunato, un orientamento e un metodo pratico che vuole superare l’antagonismo tra mercato ed ecologia, orientando le aziende e il mercato verso una cultura della sostenibilità.
Per l’esperto inglese, infatti, obiettivo del marketing è realizzare profitti per l’azienda, perciò qualsiasi pratica non riesca a soddisfare questo scopo diviene fallimentare e di scarso interesse. Quindi, dal punto di vista aziendale, un orientamento al Green Marketing (GM) funziona solo se riesce a generare un bilancio positivo.
Fenomeno questo da distinguere nettamente dal greenwashing, ossia quella pratica adottata da alcune imprese che mostrano un’immagine ecologica senza modificare la propria attività in una logica verde.
Questo nuovo approccio “green” stimola nelle imprese la capacità di cogliere le opportunità per lo sviluppo di nuovi prodotti, per la creazione di nuove competenze, per l’adozione di nuove tecnologie e modelli di sviluppo.
L’adozione di orientamenti green da parte di un settore strategico, quale quello dell’industria alimentare, stimola la creazione di nuove figure professionali che contribuiscono in maniera sostanziale al mantenimento o al ripristino della qualità ambientale.
Strategie per la definizione di nuovi profili professionale: nuovi modelli formativi
Il ruolo determinante dell’economia basata sulla conoscenza ha evidenziato l’importanza dell’upgrading (inteso quale insieme di competenze scientifiche e tecniche) del capitale umano. La presenza di capitale umano qualificato non solo stimola il processo di innovazione tecnologica attraverso l’attività di ricerca e sviluppo, ma contribuisce anche alla capacità di un Paese, di un territorio, di una società di trarre vantaggio dalle opportunità fornite dalle nuove tecnologie esistenti mediante l’adozione delle innovazioni (Pavitt, 1984).
La formazione è la leva strategica e necessaria verso la green economy, verso una reale crescita del reddito, verso la diffusione di un orientamento green e della cosiddetta occupazione verde. In tema di formazione, le imprese denunciano maggiori difficoltà di reperimento al momento di procedere all’assunzione di lavoratori con competenze verdi, soprattutto a causa di competenze tecniche e “trasversali” (autonomia flessibilità, capacità di lavorare in team, ecc.) che possono essere sviluppate solo attraverso una maggiore diffusione dei percorsi specifici. Risulta evidente quindi la necessità di una formazione specifica e di qualità (nell’ambito della scuola secondaria e soprattutto in quello universitario), che ponga le basi per dare la possibilità di acquisire quelle competenze e quel know – how necessari per competere nel mercato del lavoro. Infatti, per raggiungere gli obietti di crescita dei green jobs, un progetto di formazione nuovo dovrebbe agire su: formazione manageriale; formazione di specifiche professionalità settoriali; assistenza e affiancamento allo sviluppo dei green jobs.
L’offerta formativa ambientale, erogata da differenti istituzioni e agenzie, pubbliche o private, può riguardare la preparazione di specifiche figure professionali riconducibili in maniera univoca ai green jobs ovvero arricchire con nuove competenze relative all’ambiente, professioni non direttamente collocabili nella cerchia dei lavori verdi. L’interesse verso la “formazione ambientale” è cresciuto parallelamente a quello per gli sviluppi delle attività economiche e le professioni green.
Orientamento green nel mercato del lavoro. Quali strategie?
Per favorire l’orientamento green nel mercato del lavoro, molte sono state le azioni, i programmi e le strategie poste in essere a livello mondiale, europeo, nazionale e regionale. Come detto in precedenza, un orientamento green nel mercato del lavoro permette di dare risposte in termini di occupazione e a contribuire alla tutela della salute, ai diritti sociali, a migliorare ciò che definiamo qualità della vita. La Strategia “Europa 2020” pone per i Paesi dell’Unione 5 obiettivi da raggiungere entro il 2020 in materia di occupazione, innovazione, istruzione, inclusione sociale, cambiamenti climatici/energia.
Occorre modificare i nostri stili di vita, imparare a consumare meno e meglio, riducendo la nostra impronta e migliorando il nostro benessere. La strategia intende fornire ai paesi dell’UE il cosiddetto “metodo aperto di coordinamento” per condividere informazioni, discutere e coordinare le rispettive politiche del lavoro. Essa si basa sull’analisi annuale della crescita, che fissa le priorità dell’UE per i periodi successivi in materia di crescita e creazione di posti di lavoro. A tal fine ogni anno l’Unione Europea di concerto con il Comitato per l’occupazione, definisce le priorità e obiettivi comuni per le politiche del lavoro (orientamenti per l’occupazione); pubblica un report annuale sullo stato dell’arte dell’occupazione; analizza i programmi per l’occupazione provenienti da ciascun paese europeo e infine definisce eventuali raccomandazioni in merito. A livello italiano, le politiche per favorire l’occupazione devono necessariamente rispondere alle esigenze sia della domanda sia dell’offerta di lavoro. Infatti dal lato dell’offerta, le politiche dovrebbero intervenire sotto forma di investimenti a favore delle competenze e dell’attivazione di servizi per l’incontro tra domande e offerte di lavoro. Dal lato della domanda invece incentivare quelli che sono gli strumenti in grado di incidere positivamente sulla domanda di manodopera. Ma tutti gli interventi devono simultaneamente convergere verso il sostegno e la creazione di posti di lavoro verdi. I posti di lavoro nell’economia verde, infatti hanno fatto registrare continui aumenti durante tutta la recessione e, secondo le previsioni, tale incremento dovrebbe rimanere solido. L’evoluzione dei mercati dei prodotti e dei servizi, la politica in materia di ricerca e sviluppo e di innovazione, i nuovi quadri normativi e gli strumenti basati sul mercato modificheranno le nostre strutture economiche e industriali in direzione di una maggiore efficienza delle risorse, portando ad una ridefinizione di molti posti di lavoro in quasi tutti i settori. È importante quindi che le politiche seguano tali percorsi ed incentivino finanziariamente i lavori verdi. In conclusione un orientamento green dell’industria alimentare può contribuire a vincere la sfida globale della disoccupazione, contribuendo anche alla tutela della salute, alla tutela dei diritti sociali, e a migliorare la qualità della vita. L’adozione di un orientamento green nell’industria alimentare, può costituire anche un volano per combattere la sfida occupazionale. Ciò dovuto alle nuove e numerose figure professionali da rivitalizzare e/o attivare nei settori con orientamento green. I mercati del lavoro possono essere dinamici, però, solo se le politiche occupazionali facilitano le transizioni necessarie per accrescere la produttività e la qualità del lavoro, se i lavoratori sono in possesso di competenze adeguate e se vi è sufficiente mobilità per rispondere alle tendenze geografiche a livello di posti di lavoro vacanti.