di Serena De Rosa
Un’analisi del problema rifiuti in Italia.
Quando parliamo di “rifiuto” intendiamo, secondo la definizione comune, un oggetto di cui il detentore si disfi o abbia l’obbligo di disfarsi. In passato i rifiuti non erano un vero problema in quanto tutto ciò che si produceva era completamente, o quasi completamente, assorbito dal ciclo naturale della terra. I nostri scarti sono diventati un vero e proprio problema a partire dagli anni del “boom” economico quando l’abbassamento dei costi di produzione ha generato la tendenza del cosiddetto “USA & GETTA”. Quella dei rifiuti è una piaga che negli ultimi trent’anni è aumentata in maniera esponenziale incidendo in maniera negativa su aspetti ecologici, sanitari e sociali. Le origini sono da ricercare nell’elevato consumismo che ha caratterizzato il nostro paese dagli anni ‘90 ad oggi ed ha portato la produzione dei rifiuti a raddoppiare. Inoltre, la mancata soluzione relativa allo smaltimento di rifiuti accumulatisi nel corso degli anni presso le numerose discariche, ha comportato l’insorgere di malattie e disagi per chi risiede nei pressi di tali siti. Una delle testimonianze più concrete e attuali è rinvenibile in Campania dove, quotidianamente, tiene banco l’emergenza nella zona ormai tristemente nota come “Terra dei Fuochi”. In tale circoscrizione territoriale i casi tumorali accertati sono aumentati, nell’ultimo decennio, del 13%: questo dato allarmante ha spinto le istituzioni italiane, e più in generale l’UE, ad interessarsi maggiormente alla questione e ad operare per trovare soluzioni definitive ed efficaci ma soprattutto a basso impatto ambientale.
In Italia la questione è, purtroppo, ancora ampiamente aperta, soprattutto a causa del business illegale che gira attorno al problema rifiuti e alla mediocre gestione politica degli ultimi decenni. A questo punto ci si chiede quali siano i costi sostenuti effettivamente dall’Italia per quella che, ad una più attenta analisi, potrebbe rivelarsi una preziosa risorsa economica e che, invece, finisce per essere una voce assai gravosa per il bilancio statale. Alcuni studi hanno stimato in 422 milioni di euro i costi per il mancato riciclo dei rifiuti nel biennio 2012/2013 nelle sole regioni Campania, Lazio e Sicilia. A questi bisogna aggiungere le sanzioni che l’Unione Europea infligge all’Italia per il mancato adeguamento alle direttive. Inoltre è stato stimato che tali costi incidono nella misura di 26 euro pro capite, andando ad incidere quindi sensibilmente sul bilancio mensile di ciascun nucleo familiare.
Operando un confronto tra l’Italia e i vari Paesi europei nella gestione dei rifiuti, la differenza maggiore (quando si prende in considerazione la voce relativa ai costi), emerge rispetto alla Germania. L’Italia spende circa 215 euro a tonnellata per inviare i rifiuti di Napoli in Germania, circa 400mila euro al giorno metà dei quali per il trasporto. Le cause che determinano cifre così elevate sono diverse: un termovalorizzatore non del tutto funzionante, discariche strapiene, differenziata poco diffusa. In Germania, invece, si spende circa il 40% in meno per lo smaltimento dei rifiuti grazie a sistemi di stoccaggio e riciclo altamente funzionanti.
Date le premesse e chiariti i presupposti, rimandiamo alla prossima pubblicazione l’analisi delle ulteriori problematiche relative alla questione e delle annesse possibili soluzioni.
Le ecomafie : la gestione illegale dei rifiuti.
Le organizzazioni criminali che commettono reati contro l’ambiente sono comunemente definite con l’acronimo « Ecomafia ». Le attività illegali che esse svolgono sono diversificate e si estendono in vari settori della vita sociale; per quanto riguarda l’ambiente, l’elenco delle azioni criminali è piuttosto lungo: raccolta e smaltimento dei rifiuti, abusivismo edilizio, incendi boschivi dolosi per finire alle infiltrazioni di stampo mafioso e camorristico nel campo delle energie rinnovabili. Per quanto concerne il business dei rifiuti, le organizzazioni criminali si sono interessate ad esso a partire dagli anni ’80, quando lo smaltimento degli scarti industriali e degli oggetti dismessi in Italia fu reso sempre più difficile e costoso dal DPR 915 del 10 settembre 1982, emanato in attuazione delle direttive CEE.
Col tempo, grazie al grande controllo esercitato sul territorio, le associazioni malavitose hanno modificato la loro struttura trasformandosi, da criminalità organizzata, a criminalità imprenditrice. Ciò ha prodotto un’esponenziale crescita del fatturato ma ha anche evidenziato le grandi anomalie del sistema bancario che spesso si intrecciano con il potere politico e con la corruzione sempre più dilagante nella Pubblica Amministrazione. Fra questi tre soggetti intercorrono molti rapporti: tutto inizia dalla concessione degli appalti il cui percorso ha, come punto di partenza, la Pubblica Amministrazione e punto di arrivo l’imprenditore; quest’ultimo offre denaro al politico e al mafioso per un lavoro a basso costo e, infine, per garantire la pace tra loro il mafioso trasforma il proprio denaro sporco in denaro pulito. Questo circolo improduttivo sta incenerendo una regione come la Campania per la quale, a causa di cumuli d’immondizia dati alle fiamme, di interramento di rifiuti altamente tossici e discariche abusive, è stata coniata l’espressione terrificante di «Terra dei Fuochi», che identifica un’area di vaste dimensioni estesa dalla provincia di Napoli a quella di Caserta.
Un triangolo, quello di Acerra, Nola e Marigliano, dove l’inquinamento ambientale è ad un livello preoccupante con gravi conseguenze sanitarie, un vero e proprio genocidio di massa. L’inquinamento causato dai fumi tossici prodotti dai vari roghi e la contaminazione delle falde acquifere con il sotterramento di rifiuti «speciali», ha avuto come conseguenza un aumento dei casi tumorali del 51% e un aumento della mortalità pari al 13%.
L’illecito controllo della tratta dei rifiuti nell’Italia meridionale è gestito da 39 clan; in Campania la famiglia di stampo camorristico che gestisce le attività in questosettore è quella dei Casalesi, primo clan dell’affare per un giro di miliardi di euro.
La piaga della criminalità ha portato alla creazione di un vero e proprio mercato illegale interno che non interessa solo il sud dell’Italia ma l’intero Paese. L’abuso del sistema rifiuti in Italia è in continua espansione, complice anche la crisi economica pertanto, al momento, non sembra possibile alcuna soluzione esaustiva; inoltre, un servizio di smaltimento a basso costo sembra essere richiestissimo non solo dalle piccole e medie imprese ma anche dalle grandi multinazionali dove giovani manager puntano a fare carriera abbattendo i costi aziendali.
Nel commercio clandestino dei rifiuti tutto ha inizio dal loro trasporto con la contraffazione dei documenti che permette all’immondizia dapprima di far perdere le proprie tracce e poi di inscenare smaltimenti in realtà mai avvenuti. Le pratiche utilizzate dai clan per le tonnellate di rifiuti falsamente trattati sono:
- Rivendita di quest’immondizia come concime a contadini sprovveduti.
- Impiego dei rifiuti triturati nel riempimento del manto stradale.
- Impiego di quest’immondizia nella fabbricazione dei mattoni.
I clan, nel corso degli ultimi anni, non si sono solo occupati dello smaltimento dei rifiuti, ma hanno esteso i propri affari anche ad altre attività.
Tra gli ambiti d’interesse della criminalità organizzata abbiamo il ciclo produttivo del cemento, strettamente legato al ciclo dei rifiuti: si pensi al riempimento in fase di costruzione delle fondamenta di un edificio. Un caso eclatante è stato quello della società Perego Strade che avrebbe scaricato circa duemila tonnellate di rifiuti nelle fondamenta dell’ospedale Sant’Anna di Como. In Campania il ciclo del cemento ormai è intrecciato da anni con l’abusivismo diffuso sull’ 80% del territorio e con edifici fabbricati con il calcestruzzo depotenziato.
L’ecomafia estende i suoi affari anche alle risorse rinnovabili, complice il fatto che quest’ultimo è un settore giovane e a forte espansione; questo permette ai clan di inserirsi negli appalti, corresponsabili la lentezza negli iter amministrativi e la corruzione presente nella Pubblica Amministrazione.
In Italia il costo di quest’illegalità si aggira intorno al 10% del Pil nazionale, un’economia, quella illegale, che non conosce crisi. Secondo il «Rapporto Ecomafie 2014» il ciclo illegale dei rifiuti conta un fatturato di 13.1 miliardi di euro. Molte le iniziative per combattere questa piaga, un’idea viene dal progetto SISTRI che si propone di eliminare la documentazione cartacea sostituendola con la trasmissione di dati attraverso un apposito software applicativo e con un unico centro trasmissivo di dati gestito dall’arma dei carabinieri. Altra risoluzione al problema è l’introduzione di una nuova serie di reati affiancati da un’attività di monitoraggio delle istituzioni.
Negli innumerevoli incontri organizzati dalle pubbliche istituzioni, nei tanti seminari e altri eventi dedicati al problema, le soluzioni esposte sono molteplici ma la loro applicazione sembra essere molto lontana e il problema continua ad estendersi e con esso, aumentano le gravi ripercussioni sulla popolazione inerme.
I rifiuti urbani: un grande problema, una grande ricchezza
In Italia la maggior parte dei rifiuti urbani è stoccata in enormi discariche situate a ridosso dei centri urbani, ricchezza lasciata marcire al sole. I rifiuti sono una risorsa per la popolazione e per lo Stato che risparmierebbe notevolmente sul bilancio. I nostri scarti sono una ricchezza da cui poter trarre energia pulita a costo zero ma in Italia questo è uno scenario molto lontano dalla realtà che ci circonda oggi. Il primo passo per trasformare i rifiuti in ricchezza per la popolazione è la diffusione, in tutto il Paese, della raccolta differenziata.
La raccolta differenziata è il sistema di suddivisione dei rifiuti secondo il tipo di materiale, avente come fine ultimo il recupero e che, oltre a risolvere il problema delle discariche, consente ingenti risparmi di energia, di materie prime ecc. Molti dei rifiuti prodotti in casa sono separabili e quindi differenziabili ed ognuno rappresenta una ricchezza. In Italia la raccolta differenziata prevede:
1. L’organico, composto dagli scarti alimentari, rappresenta la prima componente dei rifiuti che ammonta a circa il 30-40% di questi ultimi.
2. L’umido, se perfettamente differenziato, produce il biogas o un composto da poter utilizzare come concime in agricoltura.
3. La carta, composta di cellulosa, può essere riciclata producendo altra carta equesto a vantaggio dell’ambiente.
4. Dal vetro fuso per colore si ottengono altri contenitori di vetro.
5. La differenziazione della plastica in appositi contenitori consente la produzione di maglie in pile, lampade, componenti per gli scooter, scope, sedie, poltrone, trapunte, sedili auto ecc.
6. Dall’alluminio riciclato si ottengono le comuni caffettiere, cerchioni per auto, monopattini, padelle ecc.
La diffusione della raccolta differenziata su tutto il territorio nazionale porterebbe enormi risparmi in termini di energia, di costi e di inquinamento atmosferico. Con il riciclaggio della plastica in un Comune di 100.000 abitanti si potrebbero risparmiare circa 10.000 tonnellate di petrolio e carbone ogni anno. Per produrre carta riciclata occorrono solo 1.800 litri d’acqua rispetto ai 440.000 litri necessari per produrre una tonnellata di carta vergine. Con il riciclo del vetro si avrebbe un risparmio energetico pari a 400.000 tonnellate di petrolio per anno.
In Italia, negli ultimi due anni, si è avuto un incremento della raccolta differenziatama questo non è ancora sufficiente a raggiungere i risultati eccellenti degli altri Paesi europei. Dalla raccolta dei dati riguardanti i rifiuti e la loro differenziazione, emerge che al Nord la raccolta è pari all’80.9%, al centro è al 9.3% mentre al sud è al 9.7%. A questi dati se ne aggiungono altri che piazzano la Campania al secondo posto solo dopo la Sardegna per la raccolta differenziata in città ma che, purtroppo, risultano fortemente in contrasto con la realtà.
I rifiuti, anche non differenziati, rappresentano in ogni caso una ricchezza, in quanto fonti di energia. In effetti, una delle pratiche più diffuse nel nord dell’Europa, è la cosiddetta termovalorizzazione ossia la trasformazione del rifiuto in calore tramite gli inceneritori. Il vantaggio dell’inceneritore risiede nel fatto che il suo uso non richiede la differenziazione dei rifiuti. Incenerire il 40% dei rifiuti urbani prodotti in Italia porterebbe al soddisfacimento del 2% della domanda nazionale d’energia. L’Europa è nettamente divisa in due dalla questione rifiuti: da un lato i Paesi per cui i rifiuti sono un business, una risorsa come Svizzera, Germania, Austria ecc., dall’altro i Paesi caratterizzati da una carenza notevole di impianti di trattamento come Bulgaria, Grecia ecc. L’Italia, in questo scenario, si colloca nel mezzo con una percentuale di raccolta differenziata totale che si attesta intorno al 35%. Uno dei motivi dell’arretratezza dell’Italia è la scarsa presenza di impianti idonei sul territorio.
In conclusione potremmo affermare che l’Italia è l’unico Paese in Europa a produrre una enorme quantità di rifiuti ed ad esportarla (pagando gli altri Paesi che utilizzano la nostra ricchezza per le loro esigenze) sostenendo un costo che supera l’onerosità della costruzione degli impianti di smaltimento.